Lingue curde come scibbòlet

Curiosa storia, quella del Kurdistan, nazione senza stato, abitata da 50.000.000 di persone, politicamente frammentate fra Turchia, Iran, Iraq, Siria e Armenia, religiosamente divise fra sunniti, sciiti, cristiani e altri orientamenti religiosi, da sempre alla ricerca di un riconoscimento internazionale, vilipesa e oppressa, ad esempio in Turchia, dove la lingua curda è stata proibita per anni, con condanne che hanno portato in carcere decine e decine di persone solo perché parlavano curdo (il divieto è arrivato a bandire le parole che contengono le lettere Q, W, X che esistono nell’alfabeto curdo ma non in quello turco, seguendo il famigerato articolo 222 del codice penale turco).

La lingua, appunto. Perché nemmeno linguisticamente la situazione del Kurdistan è limpida, essendo dispersa tra una varietà di lingue, tra le quali il Kurmanji (parlato da un milione circa di curdi iracheni) e il Sormani (parlato da 4-6 milioni di curdi iracheni) sono quelle più diffuse. Negli ultimi anni, la situazione linguistica è divenuta particolarmente tesa per il tentativo di eleggere una delle due lingue a lingua ufficiale della nazione. Con scarsi risultati finora, vista la difficoltà di condividere da parte di tutti i curdi una scelta del genere. Resa ancora più complessa dal fatto che, in alcuni stati, si adoperano caratteri arabi, in altri caratteri latini. Un bel guazzabuglio, insomma!

Nel 1990, i due principali partiti politici dei curdi iracheni, il Partito democratico del Kurdistan e l’Unione patriottica del Kurdistan hanno combattuto una guerra civile, in cui l’uso di parole ordinarie è diventato un vero e proprio terreno di divisione per distinguere gli appartenenti a un gruppo da quelli dell’altro. Ad esempio, la parola afrat, “donna”, rivelava un collegamento con il Partito democratico del Kurdistan, mentre zhin, ancora “donna”, denunciava l’appartenenza al secondo partito. Ora che i due partiti gestiscono entrambi il potere e non sono più in conflitto, la parola usata per “donna” è un curioso nome “afrat e zhin”, tanto per non scontentare nessuno. Anche se tutti sono consapevoli dell’imbarazzo della situazione. È come se in Italia qualcuno dicesse di voler dormire sul “divano e sofà”. Gli scibbòlet sono, dunque, essenziali in una nazione in cui l’equilibrio politico dipende da scelte linguistiche apparentemente banali, la cui violazione può provocare nuove “guerre e conflitti”, tanto per rimanere in tema.

Una soluzione al problema sarebbe quella di rinunciare definitivamente all’idea, di stampo nazionalistico ottocentesco,  di avere una sola nazione con un solo stato, una sola religione e una sola lingua. Idea che sembra aver perso terreno nel mondo attuale, dove le cosiddette “minoranze linguistiche” sono sempre più valorizzate. E poi, i leader politici e gli intellettuali curdi dovrebbero riflettere sul fatto che nemmeno gli Stati Uniti hanno una lingua ufficiale, anche se pochi lo sanno. E se può farvi a meno il paese più potente del mondo…!!!

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