Leopardi e la retorica del naturale

Il turismo può essere definito come un processo di assimilazione della realtà ai propri desideri e immagini mentali. Il turista viaggia per scoprire nel mondo ciò che già sa. In un certo senso, il turista compie un’opera di certificazione che, al termine del viaggio, sarà esibita come la convalida di ciò che l’immaginario ha già suggerito. L’immaginario, tuttavia, non si alimenta da sé. Guide turistiche, agenzie turistiche, opuscoli, fotografie, programmi televisivi, documentari, testimonianze letterarie o di altro genere, confidenze di amici e conoscenti ecc. contribuiscono a forgiare l’orizzonte delle nostre attese turistiche, costruendo un mondo nebuloso, astratto dalla realtà, che si sorregge su una retorica ad hoc in cui termini come “iconico”, “autentico”, “incontaminato”, “selvaggio”, “primitivo”, “tradizionale” la fanno da padrone, orientando lo sguardo del turista verso luoghi e persone rifratti come in un prisma.

Lo sapeva già 200 anni fa Giacomo Leopardi, il quale, in una delle sue celebri Operette moraliL’elogio degli uccelli – afferma:

Una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato né quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato da qualunque generazione di uomini civili, eziandio non considerando le città e gli altri luoghi dove gli uomini si riducono a stare insieme, è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura (Elogio degli uccelli, in Leopardi, G., 1992, Operette morali, Garzanti, Milano p. 229).

Nel mondo non esistono ormai più luoghi “selvaggi”, “incontaminati”, “naturali”. Tutto è antropizzato. Su tutto è intervenuto l’uomo. Di selvaggio e incontaminato non esiste più nulla. Eppure, le persone amano pensare di visitare luoghi in cui nessuno è andato, che nessuno ha scoperto: un’illusione alimentata da tour operator e agenzie turistiche che spacciano per “incorrotto” ciò che essi stessi corrompono da tempo con i loro pacchetti “all inclusive” e il loro sapiente marketing mix. Eppure, il turista sembra non accorgersi della contraddizione insita in un “incontaminato organizzato” o forse preferisce semplicemente cullarsi nell’abbaglio favolistico che esistano paradisi esotici dove tutti gli abitanti fanno a gara a servirlo spontaneamente e a rendere il suo soggiorno quanto più conforme all’allucinazione turistica possibile.

È probabile, invece che la smania di partire per le vacanze sia «l’indice della nostra insoddisfazione. Testimonia la nostra rassegnazione a vivere il noioso, l’insulso, il carente, l’invivibile» (Christin, 2021, Turismo di massa e usura del mondo, Elèuthera, Milano, p. 80). Solo un essere alienato può credere davvero che i luoghi che visita siano ontologicamente diversi da quelli che abita: luoghi in cui non esiste politica, non esiste economia, non esistono conflitti, ma solo culto del turista (occidentale, ovviamente) e divertimento.

Ma è su questa insoddisfazione che si regge il mondo turbocapitalistico in cui viviamo, che non si cura del nostro benessere, ma solo di distrarci dalla nostra cronica insoddisfazione con offerte last minute e panorami mozzafiato da contemplare in dieci minuti prima del trasferimento nell’hotel iperattrezzato.

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