La traduzione che trasformò i neri in schiavi per natura

Il nome di Samuel Adolphus Cartwright (1793 – 1863) non dice molto ai più, ma esso è saldamente inciso nei libri di storia per un motivo alquanto bizzarro. Cartwright, infatti, che era un medico e un convinto sostenitore della schiavitù prima dello scoppio della Guerra civile negli Stati Uniti nel 1861, inventò di sana pianta una malattia che oggi è completamente (e giustamente) dimenticata, ma che, all’epoca, ebbe una certa risonanza, tanto da sopravvivere nei testi di storia della psichiatria. La malattia in questione è la drapetomania, un nome complicato per descrivere “la malattia che induce gli schiavi alla fuga”. Sì, perché, secondo Cartwright, la schiavitù è talmente connaturata alla condizione del “negro” che, se questi tenta di emanciparsi dalla sua condizione, deve necessariamente essere affetto da un disturbo psichico, peraltro facilmente curabile a furia di colpi di frusta e altre punizioni fisiche. Il desiderio di libertà che, per l’uomo bianco, rappresenta un anelito vitale, diventa per lo schiavo il sintomo di un disturbo mentale che tutti i medici – tuona Cartwright – devono conoscere e imparare a curare.

Per Cartwright, la condizione di inferiorità del “negro” è testimoniata dalla medicina, dalla storia, dalla anatomia e dalla fisiologia. Ma anche dalla teologia. Come dimostrerebbe la traduzione della parola ebrea “Canaan”, in cui, secondo il medico americano, si celerebbe la vera essenza dell’anima dello schiavo. Come è noto, in Genesi 9, si narrano le vicende di Noè il quale aveva tre figli, Sem, Cam e Iafet, e di Canaan, il figlio di Cam, che fu condannato a essere servo dei servi dei suoi fratelli. Ebbene, per  Cartwright (ma anche per altri), Canaan è il progenitore del “negro” moderno. Ecco la sua argomentazione, tratta da uno scritto del 1851 intitolato “Report on the Diseases and Physical Peculiarities of the Negro Race” (“Relazione sulle malattie e sulle caratteristiche fisiche della razza negra”):

Il negro appartiene alla stessa razza dell’uomo bianco? È anche lui figlio di Adamo? La sua peculiare conformazione fisica smentisce o conferma la verità della Bibbia? Queste sono domande importanti, sia da un punto di vista medico, sia da un punto di vista storico e teologico. […]. Quando abbiamo interrogato il primo ebreo della Bibbia, abbiamo scoperto nel significato primordiale del nome del negro, gli stessi fatti rivelati dal bisturi del chirurgo al tavolo operatorio; come se le scoperte dell’anatomia, della fisiologia e della storia fossero un mero rimaneggiamento di ciò che scrisse Mosè. Nella parola ebrea “Canaan”, il nome originario dell’etiope, un autore ispirato ha inciso l’espressione “schiavo per natura”, o un’altra dal medesimo significato. […]. È noto che tutti i nomi ebraici derivano da verbi e hanno un significato. Il verbo ebraico Canah, da cui deriva il nome primordiale del negro, significa letteralmente: “sottomettersi”, “inginocchiarsi”. Gesenius, il miglior esperto di lingua ebraica della modernità, traduce le forme Kal, Hiphil e Niphal del verbo da cui deriva Canaan, il nome primordiale del negro, con le seguenti parole latine: genu flexit (“si inginocchia”); in genua procidet (“cade inginocchiato”); depressus est animus (“il suo animo è depresso”); submisse se gessit (“si mostra remissivo”; fractus est (“si china” o “è domato”); in altre parole, “schiavo per natura”, ciò che dimostrano anche l’anatomia, la fisiologia, la storia e le argomentazioni della filosofia.

Insomma, la condizione di subordinazione del negro sarebbe inscritta nel suo stesso nome biblico. Possedere questa conoscenza aiuterebbe a capire meglio come stanno i rapporti tra gli uomini e a levarsi dalla testa ogni grillo egualitario. Lo schiavo è tale per natura e basta:

Conoscere questa grande verità fondamentale, ossia che il negro è uno schiavo per natura, e non potrà mai essere felice, operoso, virtuoso o devoto, se non nella condizione che gli è stata predestinata, è di enorme importanza per il teologo, per lo statista e per tutti coloro che tentano sinceramente di promuovere il suo benessere materiale e futuro. Se questa grande verità sarà conosciuta e compresa meglio, essa contribuirà enormemente a evitare che la Compagnia delle Indie Orientali e il governo britannico nutrano l’aspettativa di vedere aumentare il valore dei loro immensi possedimenti in Asia, abolendo lo schiavismo in America con l’aiuto dei fanatici del Nord; o di vedere l’Unione divisa in due o più parti reciprocamente ostili; o di sostenere le traballanti monarchie europee, provocando una insurrezione civile da questa parte dell’Atlantico. Considerando le cose da questo punto di vista, la scienza della medicina non può fare altro che illuminarci e consentirci di distinguere la verità dall’errore.

Per quanto possa sembrare paradossale, dunque, Cartwright invoca la scienza e la teologia a sostegno delle sue tesi, convinto che l’una sostenga l’altra. E che entrambe siano sostenute da una traduzione eseguita ad hoc. Come si vede, quando si è convinti della verità di un’opinione, si è disposti a ogni cosa pur di avvalorarne il contenuto. Anche a offrire traduzioni errate. Magari con una giusta dose di junk science per contorno.

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