La superstizione non è ignoranza

Si ritiene generalmente che la superstizione sia dovuta a una mentalità del passato, se non primitiva, all’ignoranza o alla paura. Gli individui inclinerebbero alla superstizione perché in possesso di scarsa istruzione e conoscenza. Se sapessero davvero come funzionano le cose non sarebbero superstiziosi. Ugualmente, se non avessero paura dell’ignoto, se l’ignoto fosse noto, non compierebbero determinate azioni. In realtà, questa concezione fa a pugni con un dato più volte confermato: chi crede nelle superstizioni può appartenere a qualsiasi strato sociale e avere qualsiasi livello di istruzione. Lo testimonia anche il detto “Non è vero, ma ci credo”, che significa che si è consapevoli della falsità della credenza superstiziosa, ma la si mette in pratica comunque. Perché?

Nei soldati in guerra, il pericolo costante di essere colpiti dal nemico, l’ansia e l’incertezza della situazione, il timore di essere uccisi e di uccidere, la lunga permanenza in trincee e altri luoghi privi di comunicazione, l’assenza di notizie e informazioni certe favoriscono il sorgere di superstizioni con conseguente abbondanza di cornetti, chiodi, ferri di cavalli, immagini scapolari, forme lunari, preghiere e formule apotropaiche di vario genere. Agostino Gemelli (1878-1959), uno dei primi psicologi italiani, fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, osservò e studiò la propensione superstiziosa dei soldati italiani nella Prima guerra mondiale in un suo libro, oggi quasi dimenticato, dal titolo Il nostro soldato. Saggio di psicologia militare (1917).

Ecco alcune superstizioni dei nostri militari del tempo. Innanzitutto, Gemelli notò che essi tendevano a ricorrere a formule magiche per vari scopi: a) per rendersi invisibili al nemico; b) per passare innocui in mezzo ai pericoli; c) per colpire senza errore un nemico; d) per guarire da malattie e ferite.

Tra le superstizioni, sono da segnalare: «la credenza superstiziosa dei tre fiammiferi, tanto diffusa al fronte nostro e che si ha anche negli eserciti dei nostri alleati, l’inglese e il francese. Si ritiene cioè che tutte le volte che tre soldati accendono tre sigarette o sigari con lo stesso fiammifero uno dei tre deve presto morire» (p. 148); «l’uso di toccarsi le stellette con due dita mentre con un altro dito della stessa mano si tocca il naso allo scopo di scongiurare gli effetti di un iettatore» (p. 148).

Inoltre:

Vi sono formule per rendere infallibile il colpo del cannone; vi sono vari mezzi strani per “arrestare il fuoco di un fucile”; poi vi sono segreti per far sì che il nemico abbia a “tirare male”, segreti consistenti in formule magiche da ripetere o in segni cabalistici da compiersi con le mani, ecc. Poi vi hanno formule magiche da proferire al momento del pericolo. Frequente fra soldati piemontesi è la seguente: Samel Arant, Samel, Su. E numerose sono le regole sulla pronuncia delle parole.

Curiosi sono i mezzi per colpire con tutta sicurezza il nemico. Ne cito qualcuno. Prima di tirare sputare tre volte per terra in segno di croce. Mentre punti il fucile ripetere chiaramente queste tre parole: Metor, Suter, Palar. Scrivere su tre biglietti queste tre parole: Gaspard, Melchior, Balthasar, e portare questi tre biglietti in tre tasche diverse.

Analoghi sono i mezzi per essere sicuri di non venire colpiti. Portare con sé dell’erba ruta. Portare in tre tasche diverse tre piselli rotti in tre pezzi e racchiusi in tre sacchetti e cambiarli ogni giorno di tasca (p. 153).

Come si spiegano queste superstizioni? Afferma Gemelli:

Posso […] sin d’ora dire che è spiegare obscura per obscuriora, l’assegnare come cause prossime delle pratiche superstiziose la paura e l’ignoranza. Evidentemente il rifugiarsi in queste due nozioni non conduce alla conoscenza delle cause del fenomeno, che è assai più complesso di quanto sembrano supporre quegli studiosi che […] vedono nella paura la consigliera più fida nella formazione degli amuleti e che vedono nell’uso di essi la espressione di un infantilismo mentale (p. 164).

Di contro, Gemelli ritiene che le superstizioni siano un mezzo del quale il soldato si serve «per spiegare il mondo reale nel quale vive, per rendersi ragione di ciò che in esso avviene di anormale, e più ancora per dominarne le forze sconosciute» (p. 179).

In particolare,

Le credenze e le pratiche superstiziose sono […] per il soldato in guerra niente altro che mezzi, espedienti involontariamente usati, per rendere meccanica la sua azione, allorché, per il fatto del pericolo, essa è resa difficile, e per sottrarsi cosi alla necessità di compiere uno sforzo volontario, di prendere una decisione grave, di agire quando l’agire è ricco di incognite e di pericoli. Le superstizioni del soldato sono perciò la dimostrazione della insufficienza della tensione psichica del soldato in guerra, di fronte alle circostanze nelle quali si trova (p. 173).

Questa spiegazione, nonostante i suoi evidenti limiti, ha il merito di non relegare la credenza superstiziosa nell’ignoranza, nella paura o nella patologia. Essa è infatti intesa come un meccanismo di reazione normale a una situazione anormale, un meccanismo di adattamento a cui ognuno di noi può ricorrere per far fronte a una situazione insostenibile.

È per questo che la superstizione prospera in coloro che si dedicano ad attività caratterizzate da aleatorietà, forte investimento personale, incertezza dell’esito. È quello che succede a sportivi, tifosi, politici (ricordate Reagan?), uomini d’affari, esaminandi, persone in cerca di occupazione.

La superstizione non è un residuo di una mentalità superata né è frutto di crassa ignoranza. È uno dei modi attraverso cui cerchiamo di conferire un senso al mondo. È vero: la superstizione conferisce un senso sbagliato al mondo. Ma è noto che per l’uomo è preferibile attribuire un significato errato a ciò che lo circonda piuttosto che non attribuirvi alcun significato.

Fonte: Gemelli, A. (1917). Il nostro soldato. Saggio di psicologia militare. Milano: Treves Editori.

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