Progressisti, ridicolmente progressisti, perennemente trentaduenni e calvi. È così che lo scrittore americano O. Henry, pseudonimo di William Sydney Porter (1862–1910), amante di calembour e finali a sorpresa, immagina i sociologi nel racconto, qui da me tradotto (potete trovarlo anche qui), apparso nella raccolta Whirligigs del 1910 e intitolato Sociology in serge and straw. È
Al centro del racconto il surreale incontro/scontro tra upper class e lower class americane all’inizio del XX secolo: la prima, rappresentata dal giovane delfino della ricca casata dei Van Plushvelt, erede di un centinaio di milioni di dollari, istruito da precettori privati ed eternamente indomenicato al pari di un damerino; la seconda incarnata nella figura di “Smoky” Dodson, quindicenne (e mezzo) incontestabilmente sporco e vestito come uno straccione, ma con la passione del baseball, sport che Haywood Van Plushvelt – questo il nome del damerino – non ha mai praticato.
Imbattutisi per caso l’uno nell’altro, i due ragazzi – forse vittime di uno shock culturale o di fraintendimenti dovuti a codici sociali diversi – risolvono le loro incomprensioni con una polverosa e tremenda zuffa di un’ora e un quarto, al termine della quale, riconciliatisi, diventano amici e cementano il loro sodalizio interclassista partecipando a decine di partite di baseball.
Fin qui, l’usurato tema degli adolescenti che si azzuffano per poi diventare compagni di gioco. Ma, come interpretare l’episodio da un punto di vista sociologico? Per il calvo trentaduenne, esso è un segno del progresso, l’araldo di una società in cui non ci saranno più differenze e barriere tra classe e classe, il “sintomo di una generazione in ascesa morale” (uplift), l’annuncio di una nuova fratellanza umana e universale. Al punto che, i ruoli si invertono: Haywood è sul campo di baseball (il “diamante”), vestito da straccione, mentre Smoky indossa gli abiti da damerino e mammoletta del suo nuovo amico.
Ma, dove il sociologo vede progresso e comunità, O. Henry vede l’eterno alternarsi del giorno e della notte, la ciclicità degli eventi della vita, la ricchezza che subentra alla povertà che subentra alla ricchezza. Per lo scrittore americano, l’esistenza ha una natura circolare che porta gli estremi a toccarsi. Un po’ come la Terra, che pure alcuni – i sociologi? – si ostinano a vedere piatta.
Ma, forse, non è altro che una questione di prospettiva. Come il gioco del baseball. Certo, c’è chi vince e c’è chi perde. Alla fine, però, come nel gioco del baseball, chiunque vinca, chiunque perda tornerà sempre a sedere in panchina. Gli opposti si toccano, appunto.
Questa visione circolare della vita spiegherebbe, per O. Henry, anche perché i milionari ritornano alle cose semplici della loro infanzia nell’ultima fase della loro esistenza. O, detta altrimenti, perché si ritorna bambini nella quarta età.
E, allora, ciò che potrebbe sembrare un inarrestabile progresso – come volevano sociologi, educatori e intellettuali della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo – visto da un’angolazione diversa, è solo un ritorno al passato, a una ciclicità che ci sfugge, ma che è sempre in agguato.
Vedere il progresso in ogni evento potrebbe essere, tuttavia, come accenna O. Henry quasi casualmente, la ragione d’essere della sociologia. O almeno della sociologia dell’epoca.
E oggi? Qual è la ragione d’essere di questa “scienza umana”? Ciò che è certo è che i sociologi contemporanei non sono necessariamente progressisti, ridicolmente progressisti, né perennemente trentaduenni e calvi. Le posizioni sono molteplici, talvolta conflittuali. A volte, nemmeno commensurabili.
La costante è che la sociologia continua a essere una disciplina della crisi, di cui incessantemente interpreta cause e ragioni. Ed è probabile che, fino a quando, la sociologia continuerà ad assumere una postura critica nei confronti della società esistente, avremo ancora bisogno della sua voce, anche se stridente, irritante e, talvolta, inattuale.