In libreria Conflitto culturale e crimine di Thorsten Sellin

Bologna, marzo 2017. Una studentessa di terza media, figlia di una coppia di origine bengalese,  rifiuta di indossare lo hijab. I genitori, dopo averla rimproverata varie volte, decidono di punirla, rasandola a zero. Scatta la denuncia ai carabinieri e la ragazza viene allontanata dalla famiglia. «Aveva i pidocchi» si giustifica la madre.

Dicembre 2016. Una madre di origine nordafricana, residente a Udine, picchia la figlia adolescente quando scopre che si toglie il velo appena uscita di casa.

Novembre 2014. A Forlì, il padre e i fratelli picchiano una quindicenne perché ha abitudini troppo occidentali. La giovane è affidata a una struttura per minori.

Agosto 2012. Fuggita di casa a sedici anni da Brescello (Reggio Emilia) perché non vuole velo e nozze combinate, una ragazza incontra il padre a Modena e lui l’aggredisce.

Da diversi anni a questa parte, sono in aumento fatti sociali espressione di conflitti culturali, che sottendono un contrasto tra le norme sociali e culturali del nostro paese e quelli dei migranti che vengono a vivere tra noi. In alcuni casi, tali conflitti danno luogo a veri e propri reati su cui sempre più ci si interroga. È per questo un piacere molto grande per me aver curato la traduzione (e l’introduzione) di un testo importante come Culture Conflict and Crime di Thorsten Sellin, scritto nel 1938 e ora pubblicato dalla casa editrice salentina Besa.

Tradotto per la prima volta in Italia, Confitto culturale e crimine è un classico degli studi di ambito sociologico, criminologico e antropologico, oltre a configurarsi come un’opera di straordinaria attualità nel contesto della società multiculturale in cui viviamo. Thorsten Sellin elabora in quest’opera un modello interpretativo nato per spiegare il coinvolgimento di alcuni immigrati dell’America della prima metà del XIX secolo in attività criminali, postulando che la deriva verso la criminalità sia dovuta al conflitto tra i valori portati dagli immigrati – valori radicati nei loro paesi d’origine – e quelli propri invece del paese di accoglienza. La teoria del conflitto culturale è stata di recente al centro delle discussioni intorno ai cosiddetti “reati culturalmente motivati”, definizione con cui si intendono quei comportamenti che, messi in atto da soggetti appartenenti a un gruppo culturale di minoranza, sono considerati reati dall’ordinamento giuridico del gruppo culturale di maggioranza, mentre all’interno del gruppo cui il soggetto appartiene sono accettati come comportamenti normali, o addirittura vengono incoraggiati o imposti. Tutto ciò apre una domanda che rappresenta una delle più importanti e difficili sfide con cui l’attuale società globalizzata deve confrontarsi: comportamenti considerati devianti dal nostro sistema culturale vanno condannati o, piuttosto, per giudicarli occorre collocarli nel sistema culturale cui appartengono? In altri termini, come ci si confronta con le diversità culturali di cui sono portatori gli immigrati e gli stranieri, nel momento in cui queste diversità sono in aperto contrasto con il nostro modello culturale e con la nostra idea di legalità e di società civile?

Un testo estremamente attuale; un classico delle scienze sociali finalmente tradotto in italiano.

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