Il fascino delle coincidenze professionali

Justinus Kerner (1786-1862), poeta, letterato e medico tedesco, è noto soprattutto per il suo libro dedicato a Friederike Hauffe (1801-1829), destinata a essere ricordata come “La veggente di Prevorst”. Nell’edizione italiana del libro, che risale al 1972, si legge che la sua vita fu segnata da una coincidenza che decise della sua scelta professionale. Un giorno – aveva 18 anni – partì a piedi per Tubinga e, essendo notte, si addormentò su una panca:

 Quando si svegliò, dice Carl du Prel, i pioppi erano agitati da un violento uragano e la corrente d’aria portò un foglio di carta che il vento aveva tolto da una finestra dell’ospedale dei poveri: era un’ordinanza firmata dal dottor Uhland medico superiore del baliato. Il giovane prese ciò per un avvertimento della provvidenza ed entrò quindi a Tubinga nel 1804 con l’intenzione di diventare medico (Kerner, J., 1972, La veggente di Prevorst, Edizioni del Gattopardo, Roma, pp. 7-8).

E lo diventò, naturalmente.

Quando ci troviamo di fronte a episodi del genere, la prima reazione è quella di meraviglia. Un’interpretazione in chiave fatalistica potrebbe indurci a ritenere quanto accaduto a Kerner a 18 anni un segno premonitore inviato dall’alto. E magari a cercare nelle nostre vite segni altrettanto premonitori di scelte che abbiamo compiuto strada facendo, come suggeriscono decine di libri New Age che è possibile trovare in libreria. Una riflessione più approfondita, però, ci fa capire:

1)  che ciò che è importante non è la coincidenza di per sé, ma il significato che Kerner attribuì all’ordinanza che gli capitò tra le mani e che intese come “un avvertimento della provvidenza”. Un altro, nella stessa situazione, avrebbe potuto degnare il documento di un’occhiata superficiale e non dargli alcuna rilevanza. In altre parole, l’evento non è un fenomeno soprannaturale, ma un fenomeno al quale una persona particolare, in un dato momento della sua vita (in questo caso: un giovane alla ricerca di occupazione e di un senso da dare alla propria esistenza), ha attribuito un significato particolare;

2)  che, spesso, eventi del genere acquistano importanza solo retrospettivamente: se Kerner non avesse deciso di fare il medico, il suo incontro casuale con l’ordinanza del dottor Uhland non sarebbe mai stato citato dai suoi biografi;

3)  che l’episodio ha assunto rilevanza biografica nel contesto di una vita, quella di Justinus Kerner, dedicata appunto al misticismo e al soprannaturale. Lo stesso episodio accaduto a una persona normale non avrebbe destato uguale rilevanza;

4)   che, infine, l’episodio potrebbe non essere vero o essersi verificato in maniera difforme per essere poi “adattato” narrativamente alle esigenze della biografia di un mistico. Sappiamo (o dovremmo sapere) che le biografie dei personaggi celebri rispondono spesso più a esigenze apologetiche o laudative che al bisogno di verità.

Insomma, le coincidenze sono, per lo più, meno misteriose di quanto appaiano. Siamo noi umani, attribuendo significati a ciò che ci accade, a renderle spesso tali. Capita a molti di udire un amico o un conoscente legittimare con un: “Evidentemente era destino” una scelta di vita compiuta, una occasione persa, un incontro con una persona. Ma perché abbiamo questo bisogno profondo?

Forse perché ci solleva dalla responsabilità connessa alla assunzione di una scelta libera e consapevole (“Non dipende da me; l’ha deciso il destino!”).

Forse perché ci fa piacere pensare che la nostra vita sia condotta all’insegna di un senso soprannaturale o stabilito dall’alto.

Forse perché non sappiamo accontentarci della “banalità” delle nostre scelte quotidiane.

Perché, forse, ci sentiamo più sicuri e protetti sapendo che “qualcuno” veglia sul nostro futuro (un angelo custode?).

In ogni caso, ragioni umane, molto umane. E poco soprannaturali.

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