Filastrocche e sospetti epidemici

Al tempo dell’influenza spagnola era celebre negli Stati Uniti la seguente filastrocca che i bambini ripetevano mentre giocavano a saltare la corda:

I had a little bird, its name was Enza

I opened up the window and in flew Enza.

La traduzione non è semplice perché il verso finale è un gioco di parole tra “influenza” e “in flew Enza” (“con le sue ali entrò Enza”) che si pronunciano allo stesso modo, ma il senso è chiaro a tutti.

Sembra, però, che la poesiola risalga almeno alla fine dell’Ottocento. In un libro del 1894, si legge infatti:

There was a little girl, and she had a little bird,

And she called it by the pretty name of Enza;

But one day it flew away, but it didn’t go to stay,

For when she raised the window, in-flu-Enza.

Fatto sta che, nell’immaginario popolare statunitense, la filastrocca è strettamente associata all’influenza spagnola, il cui impatto sulla storia americana fu talmente devastante da essersi insinuato perfino nelle innocenti creazioni letterarie infantili.

Un’altra celebre filastrocca sembra associata (ma ci sono varie teorie) a un celebre evento epidemico: la peste. Si tratta di:

Ring around the rosie

A pocketful of posies

Ashes, ashes

We all fall down.

Uno dei sintomi della malattia era una eruzione cutanea di colore rosso (“rosie”), mentre alcune persone portavano su di sé fiori o erbe (“posies”) per tentare di tenere lontano il morbo. Le ceneri di “Ashes, ashes” alluderebbero alle ceneri risultanti dalla cremazione dei corpi infetti. L’ultimo verso, invece, farebbe riferimento alla morte (“We all fall down”).

Questa interpretazione è stata contestata perché sorta solo nel XX secolo per conferire un senso a una filastrocca creata in precedenza, alla fine del XVIII secolo. Oggi, però, molti la danno per vera tanto che si è addirittura proposto di bandirla dal novero delle filastrocche per bambini.

In entrambi i casi, pur ammettendo la falsità della seconda interpretazione, siamo di fronte a testimonianze solide di come le epidemie penetrino nei recessi più reconditi dell’immaginario collettivo.

Sempre in tema di epidemie, questa volta di colera, è interessante notare come, nell’Ottocento italiano, uno dei commenti più popolari fosse: «Vedete questi dottori; ora vi danno un rimedio, ora un altro: ora c’è cholera, ora non c’è cholera; oggi è epidemico, domani è contagioso. Eh! Gatta ci cova! Vogliono malattie, vogliono spedali, chi sa cosa essi vogliono» (V. Linares, Maria e Giorgio e il cholera in Palermo). Come oggi si propagano mille sospetti sulle competenze delle autorità sanitarie e si immaginano complotti di ogni tipo riguardo alle origini del coronavirus, così nel passato si avanzavano i medesimi sospetti sull’origine e le terapie concernenti il colera e le altre epidemie. Niente di nuovo sotto il sole. Solo che oggi Internet viralizza ogni dubbio e rende celebre qualsiasi discussione per quanto infima. Con la conseguenza che, per il solo fatto di essere in Internet, il dubbio e la discussione vengono drammatizzati e resi rilevanti, attirando condivisori di ogni genere. La condivisione produce un “effetto massa” inducendo il pensiero che, se tante persone condividono il dubbio, forse qualcosa di vero c’è e allora giù complottismi sfrenati di ogni tipo.

Le epidemie incidono sulle modalità di comunicazione prevalenti in una data società e la loro rappresentazione è da queste condizionata. Le nuove epidemie diffondono così vecchie paure e sospetti, ma in maniera totalmente diversa dal passato. Occorrerà attendere qualche tempo per comprendere come il temibile incrocio tra morbi e nuove forme di comunicazione ci avrà cambiato e, forse, trasformato per sempre.

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