Colpevole di “affluenza”

“Affluenza”. In italiano: “L’affluire di un liquido” oppure “Concorso grande di persone”. Niente a che vedere con l’inglese Affluenza, parola di conio relativamente recente che fonde affluence (“ricchezza”) e influenza (la malattia). Il termine, nato probabilmente nel 1954, ha acquisito fama nel 1997 in seguito a un documentario omonimo e alla pubblicazione (nel 2001) del libro di  John de Graaf, David Wann e Thomas H. Naylor Affluenza: The All-Consuming Epidemic in cui è definito come “una condizione dolorosa, contagiosa e socialmente trasmessa di sovraccarico, perdita, ansia e sensazione di inutilità derivante dal perseguimento ostinato dell’eccesso”. Nel libro l’affluenza è presentata come una malattia della società consumistica in cui le persone vogliono sempre di più e non si sentono mai soddisfatte.

Con il caso Ethan Couch, però, il termine affluenza ha assunto un significato diverso, entrando a piè pari nel mondo della psichiatria e della criminologia. Essa è diventata “l’incapacità di comprendere le conseguenze delle proprie azioni a causa della propria condizione economicamente privilegiata”.

Nel 2013, il sedicenne texano Ethan Couch, che appartiene a una famiglia molto benestante, si trova alla guida di un pick-up sottratto al padre. È in compagnia di sette amici, ha un tasso alcolico tre volte superiore a quanto è consentito nel suo Stato e ha assunto anche del Valium. In queste condizioni, causa un incidente stradale che uccide quattro pedoni e ferisce altre undici persone. Durante il processo lo psicologo della difesa, G. Dick Miller, espone al giudice Jean Boyd la sua teoria: il ragazzo soffre di affluenza. A causa della sua immensa ricchezza, essendo stato abituato dai genitori a risolvere ogni problema con il denaro, non avendo mai imparato a dire “Mi dispiace” per aver offeso o fatto del male a qualcuno, ma solo a dare soldi, il ragazzo non è in grado di distinguere il bene dal male, né di valutare adeguatamente le conseguenze delle proprie azioni. Tutto gli è stato consentito. Ed essendo cresciuto in un ambiente indulgente e ovattato, non ha bisogno di essere condannato al carcere, ma di essere riabilitato. Boyd  si lascia convincere dalla teoria di Miller e condanna Couch, soprannominato in seguito affluenza teen, a 10 anni di libertà vigilata tra il disappunto e le proteste di parenti e amici delle vittime e nonostante la nozione di affluenza non sia mai stata riconosciuta dall’American Psychiatric Association come vera e provata condizione psicologica (Per alcuni interessanti articoli sulla vicenda, si veda qui, qui, qui e qui).

È facile criticare il concetto di affluenza. Se dovessimo applicarlo sistematicamente, i ricchi non potrebbero mai essere condannati per i loro reati e il crimine rimarrebbe una questione per soli poveri dal momento che, nonostante questi vivano in ambienti degradati e disagiati, tali condizioni non sono mai valse come “scuse” per non andare in carcere. L’affluenza, però, non è il primo caso di categoria criminologica e psichiatrica inventata per difendere i ricchi.

In un mio post precedente, ho menzionato l’invenzione, nel 1840, della nozione di cleptomania, intesa come disturbo compulsivo e irresistibile che spinge chi ne è affetto a rubare, pur in assenza di necessità. Questa nozione fu inventata dalla psichiatria ottocentesca per “tutelare” le donne dell’alta borghesia europea e americana che venivano sorprese a rubare negli allora nascenti grandi magazzini. In seguito, la categoria ha avuto alterne fortune, anche se è ancora saldamente presente nel DSM V, il manuale degli psichiatri di tutto il mondo.

Che cosa accadrà al termine affluenza? La storia di Ethan Couch è destinata a essere ricordata come uno dei tanti infortuni della Giustizia e, quindi, a non essere mai più ripetuta o sarà la prima di una lunga serie? Anche affluenza entrerà a far parte del DSM V? In attesa degli eventi, Ethan Couch si è macchiato di altri crimini e ha tuttora problemi con la giustizia. Vedremo se i suoi avvocati avranno ancora il coraggio di invocare l’affluenza.

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