Ageismo e società

Che cosa è l’ageismo? Chi ha inventato il termine? E con che significato?

È stato il medico, gerontologo e psichiatra americano Robert Neil Butler (1927–2010), vincitore del Premio Pulitzer e primo direttore del National Institute on Aging a coniare il termine ageism (il termine italiano “ageismo” è un semplice calco di quello inglese) nel 1969 nell’articolo intitolato “Age-ism: Another Form of Bigotry”, in analogia con termini quali razzismo e sessismo e a fornirne la prima definizione. Per Butler, la parola ageismo fa riferimento al «pregiudizio di un gruppo di età nei confronti di altri gruppi di età». E ancora: «L’ageismo fa riferimento all’esperienza soggettiva implicita nella concezione popolare del divario generazionale. Il pregiudizio nei confronti dei vecchi, e talora dei giovani, espresso da coloro che hanno raggiunto la mezza età». Per Butler, l’ageismo è un serio problema nazionale che riflette «un disagio radicato da parte dei giovani e delle persone di mezza età: una avversione personale e un disgusto per la vecchiaia, la malattia, la disabilità; e un timore di sentirsi impotenti, “inutili”, vicini alla morte».

Originariamente, dunque, la parola ageismo non implica un pregiudizio solo nei confronti di chi è vecchio, ma di chiunque appartenga a un determinato gruppo di età per il fatto di appartenere a quel gruppo di età. Ad esempio, fa notare Butler, «i giovani possono diffidare di chiunque abbia più di 30 anni, ma coloro che hanno più di 30 anni possono diffidare di chiunque sia più giovane di loro». È indubbio, però, che oggi il termine sia adoperato soprattutto in un’accezione limitata, nel senso di pregiudizio e discriminazione nei confronti di chi è vecchio. Del resto, lo stesso Butler ha usato il neologismo prevalentemente secondo questo significato.

Sono esempi di ageismo: la maggiore propensione degli anziani a essere vittimizzati; il fatto che ricevano meno attenzioni e cure, e di minore qualità, in caso di incidenti o malattie (“tanto sono vecchi”) e che meno fondi siano stanziati per la ricerca geriatrica; le “imposizioni” sociali a celare le rughe dietro interventi cosmetici continui, in modo da negare la propria appartenenza d’età; l’attribuzione di incompetenza lavorativa che “costringe” chi è vecchio ad andare in pensione e non occuparsi di niente che sia produttivo per la società; l’attribuzione di significati morali negativi a chi intende continuare la propria vita sessuale, soprattutto se si sente attratto da uomini/donne molto più giovani; frasi come “Porti benissimo i tuoi anni”, che sottintendono continuamente una distanza da una realtà percepita negativamente; la tendenza a negare o non rivelare la propria età da vecchi perché essere vecchi è visto come un insulto o come una descrizione di sé sgradita, da filtrare tramite negazioni o eufemismi. Forse anche cedere il proprio posto a un anziano sul treno e, secondo qualcuno, usare termini come “anziano”.

A distanza di quasi 50 anni dalla introduzione del termine, di ageismo si continua a parlare poco, come se le nostre società non tendessero a invecchiare sempre più; come se i vecchi non stessero diventando una delle fasce demografiche più importanti del pianeta. Di qui la necessità di riproporre e tradurre il breve testo di Butler che ha lanciato il termine ageismo nel novero delle scienze sociali.

Qui è possibile trovare, in un unico pdf, la mia traduzione di “Age-ism: Another Form of Bigotry” di Butler, preceduta da un saggio introduttivo e dalla traduzione di una importante intervista a Maggie Kuhn, fondatrice delle Pantere Grigie.

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