Si può condannare il desiderio?

tavole-decalogoIl nono e il decimo Comandamento, “Non desiderare la donna d’altri” e “Non desiderare la roba d’altri”, sono formulati in maniera più articolata di quanto ci insegnino al catechismo. In particolare, Deuteronomio 5, 21 così si esprime:

Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo.

Come è evidente, questa formula riflette una società basata sulla schiavitù, la pastorizia e l’agricoltura quale quella degli antichi ebrei. La “riduzione” catechistica serve ad astrarre i comandamenti dal loro contesto originario e renderli “universali” o, almeno, generalizzabili.

Ciò che desta, tuttavia, sorpresa è la condanna del “desiderio” espressa dai due comandamenti. È comprensibile condannare il furto, ma il desiderio addirittura? Come può un comandamento proibire uno stato interiore? Come se una legge proibisse di odiare qualcuno o avere sentimenti ostili nei confronti di altri. La spiegazione di questo enigma è in una scelta traduttiva che molti considerano un errore. Lo spiega Nathan André Chouraqui nel libro I dieci comandamenti:

In latino, il testo della Vulgata traduce la radice chamad, “bramare”, con concupisces, mentre la sua seconda ocorrenza nel versetto è resa con desiderabis, nonostante in ebraico venga usato sempre lo stesso verbo. Nel tradurre la Bibbia, san Gerolamo obbedisce alle norme dello stile classico, che proscrive la ripetizione degli stessi termini, ripetizione che nello stile ebraico, in cui la distinzione fra le diverse sfumature di parole identiche è affidata al lettore, risulta invece normale.

Il fatto è che, in latino, il verbo concupiscere si ricollega al desiderio sessuale, mentre desiderare, letteralmente “ricercare le stelle”, associato al primo fa pensare al lettore che ogni forma di desiderio sia di per sé condannabile, perfino il desiderio di ciò che non appartiene a nessuno.

Non è difficile valutare – commenta Chouraqui – quali conseguenze ebbe nella storia della mentalità dell’Occidente cristiano tale generalizzazione. Per paura di bramare una realtà proibita, alcuni cristiani condannarono il principio stesso del desiderio, in sé lecito e salutare. Si dovette attendere la Riforma e la diffusione del testo della Bibbia nelle varie lingue volgari europee perché nei confronti del desiderio venisse adottato un altro atteggiamento, che ammette il diritto di ognuno ad aspirare al possesso di ciò che non appartiene a nessuno.

Ancora oggi molti cristiani si arrovellano sul reale significato degli ultimi due comandamenti e si sentono in colpa se solo desiderano qualcosa con passione. Colpa di una scelta traduttiva di tanto tempo fa.

Fonte:

Chouraqui, A., 2001, I dieci comandamenti, Mondadori, Milano, pp. 214-216.

Questa voce è stata pubblicata in errori di traduzione. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.