Quei paradisi fiscali senza angeli

È noto come una delle piaghe più riconosciute e vituperate della nostra epoca sia l’evasione fiscale. La consapevolezza dell’importanza di un corretto comportamento fiscale dei cittadini è ormai acquisita da ogni governo e in ogni agenda politica appare un riferimento alla necessità di sradicare questo male o, almeno, di abbatterlo se si vuole che le nazioni siano economicamente “sane”.

In qualche caso, stando alle dichiarazioni degli stessi governanti, sembra che quello dell’evasione fiscale sia il principale problema delle nostre economie. È, dunque, comprensibile che, negli ultimi decenni, siano aumentate le proposte per far fronte all’evasione fiscale in tutto il mondo.

Tra le misure concepite, c’è quella di una migliore e più severa regolamentazione dei cosiddetti “paradisi fiscali”, cioè di quei paesi che offrono agevolazioni fiscali alle imprese e ai privati che si insediano sul loro territorio. Queste agevolazioni si traducono, sostanzialmente, in un basso, se non addirittura nullo, prelievo in termini di tasse sui depositi bancari. Per questo motivo, i paradisi fiscali sono molto popolari e agognati, oltre che difficili da regolare, anche per la forza delle lobby bancarie che non hanno alcun interesse a che agevolazioni del genere vengano meno.

A fare la fortuna dei paradisi fiscali, tuttavia, potrebbe essere non solo la loro evidente appetibilità, ma anche un errore di traduzione. “Paradiso fiscale” traduce, infatti, l’espressione inglese tax haven, che propriamente equivale a “porto fiscale”, “rifugio fiscale” o “asilo fiscale”. Una bella differenza, se si pensa che i termini “porto”, “rifugio”, “asilo”, pur comunicando significati rassicuranti, non possiedono l’allure “celestiale” di “paradiso” che, effettivamente, esercita una maggiore persuasività rispetto agli altri nomi citati. Il fatto curioso è che lo stesso errore si ripete in molte lingue europee. Secondo IATE, il database terminologico dell’Unione Europea, ad esempio, tax haven si traduce paraìso fiscal in spagnolo; paradis fiscal in francese;  paraìso fiscal in portoghese; paradis fiscal in rumeno; belastingparadijs in olandese;  veroparatiisi in finlandese ecc.

È facile, peraltro, capire il perché dell’errore di traduzione. In inglese haven è molto simile a heaven che significa, appunto, “paradiso” e la quasi perfetta sovrapposizione tra i due termini può aver indotto un frettoloso pastrocchio linguistico. Potremmo ipotizzare allora che il termine “paradiso fiscale” contenga in sé un potenziale criminogeno superiore alle sue alternative corrette e che, dunque, rispetto a queste, attiri molti più potenziali evasori. Se così fosse, ci troveremmo di fronte al primo errore di traduzione dai devastanti effetti devianti.

È solo un’ipotesi. Nemmeno. È una considerazione di nessuna scientificità. Ma sarebbe davvero curioso se avesse anche solo un briciolo di verità. Forse, i politici dovrebbero prendere seriamente il consiglio di ripristinare la traduzione corretta del termine in tutti i documenti pubblici in uso nel loro paese. Chissà che l’evasione fiscale non scenda, sebbene di poco.

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3 risposte a Quei paradisi fiscali senza angeli

  1. Licia scrive:

    Grazie, lo leggerei molto volentieri.

  2. Licia scrive:

    Direi che è un’ipotesi più che fondata!

    Un aspetto curioso della scheda di IATE è che in inglese sia incluso fiscal paradise come termine equivalente a fiscal haven; la fonte citata a supporto di fiscal paradise è una società specializzata in tax havens and offshore banking che in un’apposita pagina spiega che in inglese il concetto di “paradiso” non è significativo, il che mi fa supporre che il termine fiscal paradise sia stato citato in alcune pagine solo per “captare” le ricerche di persone non di madrelingua che ricorrono a traduzioni letterali. E intanto così l’errore si propaga…

    Un altro esempio interessante è il concetto di green washing che non solo in italiano ma anche in altre lingue viene spiegato con “lavaggio nel verde” o simili, mentre in inglese la metafora è basata sul white washing, quindi non si tratta di “ripulire” o “lavare” quanto di “ricoprire” per nascondere la verità o fare apparire qualcosa migliore di quello che è.

    • Romolo Capuano scrive:

      D’accordo con le tue osservazioni. Fra l’altro il tuo commento rappresenta per me una coincidenza straordinaria. Ho scoperto da pochissimo e per caso il tuo blog e proprio un tuo post sull’espressione tax haven ha ispirato questo mio post (nel pdf che trovi in https://www.romolocapuano.com/oracoli-quotidiani/111-errori-di-traduzione-che-hanno-cambiato-il-mondo/ trovi il riconoscimento delle fonti). Ne approfitto per farti i complimenti. Il tuo è un blog davvero interessante che seguirò senz’altro ogni giorno. Ti segnalo un mio libro uscito da poco: 111 errori di traduzione che hanno cambiato il mondo. Se vuoi, posso spedirti il pdf via mail. Mi sembra il minimo che posso fare per ricambiare i tuoi post. Mi piacerebbe avere un tuo commento. Complimenti ancora e (spero) a presto.

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