Morons!

In un post precedente, ho ripercorso la storia del termine “mongoloide” e di come esso abbia contribuito a designare uno specifico tipo di disabilità per oltre un secolo per poi degradare nel linguaggio comune a semplice termine offensivo. Nello stesso destino incorse un’altra parola molto diffusa nella lingua inglese, che, nata per soddisfare il bisogno di un termine per descrivere una condizione mentale, diventò col tempo un epiteto ingiurioso ancora oggi usato da bambini e adulti anglofoni. Sto parlando del termine moron. Se si consulta un qualsiasi dizionario inglese-italiano è facile verificare che moron significa “stupido”, “scemo”, “imbecille”. Eppure, si tratta di una parola completamente inventata a tavolino dalla Committee on Classification of the American Association of Medical Directors of Institutions for the Feeble-minded e stampata per la prima volta nel 1910 nel Journal of Psycho-Asthenics (vol. XV, n. 2, p. 61) per designare un livello leggero di ritardo mentale che si situa appena al di sotto della normalità. La Committee, che disponeva già dei termini idiot e imbecile (altri termini che col tempo hanno perso qualsiasi denotazione scientifica per essere adoperati a scopo meramente turpiloquiale) per descrivere, rispettivamente, gli individui affetti da profondo e moderato ritardo mentale, preferendo non usare termini vaghi come feeble-minded (“stupido”, “debole di mente”), in mancanza di un altro termine, si rivolse al professore di greco John C. Hutchinson il quale propose una parola derivata dalla radice greca proximate (al fine di sottolineare la “prossimità” alla condizione normale) e moron, derivato invece dalla radice moros, “stupido”. Fu accolto quest’ultimo suggerimento e, da allora, moron passò a descrivere una precisa condizione psicologica per poi essere successivamente abbandonato dal mondo scientifico ed essere assorbito dal vocabolario quotidiano della lingua inglese nel quale, ancora oggi come detto, trova ospitalità.

Strano destino quello di alcuni termini. Nati con ambizioni altisonanti, come etichette di una nuova scienza, sono presto ripudiati ed entrano a far parte di quel linguaggio quotidiano dal quale pure erano stati concepiti per differenziarsi. Come se la loro arroganza fosse punita da una sanzione dantescamente speculare. D’altra parte, la storia di termini come moron e “mongoloide” ci illustra come tra le cosiddette “parolacce” ci siano parole la cui storia varrebbe davvero la pena rivelare, perché ci dicono qualcosa di mondi molto diversi dai nostri, ma non per questo meno interessanti.
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