Le parole per ferire… i disabili

Nel recente, piccolo saggio di Tullio De Mauro, “Le parole per ferire”, pubblicato sull’Internazionale, viene proposta una mappa delle hate words in Italia, cioè delle parole adoperate per offendere l’altro, questione non banale su cui sia il Consiglio d’Europa sia il Governo italiano, tramite una apposita, recentissima Commissione sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio, stanno cominciando a prendere provvedimenti. All’interno del sostanzioso e dettagliato corpus descritto da De Mauro, e al quale si rimanda il lettore interessato, spiccano le parole d’odio che colpiscono le persone disabili, da sempre oggetto di insulti e discriminazioni da parte dei “normali”, spesso convinti di essere immuni, per decreto divino, da qualsiasi forma di disabilità.

Le hate words rivolte alle persone con disabilità sono davvero numerose e sono da De Mauro suddivise in vari campi, che qui riproduco astraendo dal saggio del linguista napoletano.

Termini etnici, come mongolo e mongoloide, nel significato di “idiota, deficiente”.

Termini che indicano diversità e disabilità fisiche: antropoide, abnorme, bamberottolo, brutto, cecato, crozza, deforme, gibboso, gobbo, handicappato, minorato, nanerottolo, omucolo, orbo, racchio, scartina, scartellato (“gobbo”), sciancato, sgraziato, zoppo.

Termini che indicano diversità e disabilità psichiche, mentali, intellettuali: babbeo, babbaleo, babbalone, babbalucco; balordo; bambinesco; beota; bestia (anche nel senso di “moralmente spregevole”); cerebroleso; cottolengo (piemontese) “scemo, stupido” (dal nome del benemerito ospedale intitolato a S. Giuseppe Cottolengo);  credulone; cretino, cretinismo, cretineria, cretinata, cretinaggine, cretinesco, deficiente; ebete; idiota, idiozia; imbecille, imbecillità, imbecillaggine, rimbecillirsi; incapace; inetto anche in senso morale e intellettuale, inettitudine; insano; macrocefalo; mentecatto; microcefalo; puerile; ritardato; scemo, scemenza, scemata; sciocco sciocchezza; stolido, stolidità; stolto, stoltezza: stupido, stupidità, stupidaggine, istupidirsi; testone; tonto; umanoide.

Termini riferiti al campo degli ortaggi: bietolone nel significato di “semplicione”; broccolo nel significato di “persona goffa”, cetriolo nel significato di “sciocco”.

Termini riferiti al mondo animale: animale “persona inumana, per molti versi spregevole”; asino “ignorante”; bestia “persona inumana, per molti versi spregevole”, con i derivati bestiale, bestialità, bestione; bue “sciocco, stolido” con i derivati bovino e buaggine.

Termini riferiti agli apparati sessuali maschile e femminile: cazzone, coglione, fesso “sciocco”, bigolo (di area veneta, anche “sciocco”).

Altri termini: abnorme, delirante, pasticcione.

Prefissi e prefissoidi: ipo- (ipoumano), sotto- (sottospecie), sub- (subnormale, subumano).

Ciò che colpisce di questo corpus, in gran parte ancora intensamente adoperato, è l’estensione dello stesso, a testimonianza dell’acredine con cui i disabili sono vittime di insulti e discriminazioni verbali, ma anche il fatto che molti di questi termini (ad esempio, “abnorme”, “umanoide”,  “deficiente”, “idiota”, “ebete” ecc.) sono parole che in origine erano neutre e tecniche, ma che, col tempo, sono diventate ingiuriose, secondo un meccanismo che spiego nel mio Turpia. Sociologia del turpiloquio e della bestemmia nel quale avanzo anche una possibile spiegazione del perché esistano tante parole offensive nei confronti dei disabili. In soldoni, tali parole consentirebbero ai “normali” di difendere la propria “normalità” e prendere le distanze dalla disabilità percepita come una catastrofe. Le parolacce, in altre parole, servirebbero una funzione apotropaica, allontanando il “male” della disabilità. Un po’ come se chi offende il disabile dicesse al tempo stesso: “Spero di non essere mai colpito dalla tua disgrazia”. Le cose stanno, in realtà, cambiando negli ultimi tempi. È subentrata una nuova consapevolezza della disabilità e un nuovo rispetto nei confronti dei disabili. Fatto sta che, ancora oggi, il senso comune sembra prigioniero di una considerazione del disabile come di un essere naturalmente inferiore e diverso. Lo dimostra, fra l’altro, la disinvoltura con cui i bambini si offendono a vicenda chiamandosi “mongoloide” o “idiota”. Fino a quando questo accadrà, i disabili non saranno percepiti pienamente come esseri umani aventi diritti come tutti gli altri.

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