La prostituzione è il mestiere più antico del mondo?

Rudyard Kipling

Nel 1888, lo scrittore inglese Rudyard Kipling diede alle stampe una raccolta di novelle intitolata In Black and White.  Della raccolta faceva parte un racconto, On the City Wall (“Sulle mura della città”), destinato a passare alla storia non tanto (o non solo) per la sua trama quanto per le parole che danno inizio alla narrazione: «Lalun is a member of the most ancient profession in the world» («Lalun esercita la più antica professione del mondo». Lalun è, naturalmente, una prostituta).  Da queste parole, infatti, ha avuto origine uno dei luoghi comuni più diffusi in assoluto: quello che vuole che la prostituzione sia il mestiere più antico del mondo. La frase è ripetuta in continuazione, a tal punto da sembrare un assunto di senso comune e, come tale, immune a ogni critica e approfondimento. Ma le cose stanno davvero così? La prostituzione è davvero il mestiere più antico del mondo? Se per prostituzione intendiamo una prestazione sessuale fornita a scopo di lucro da una donna (ma si potrebbe parlare anche di un uomo) che si dedica prevalentemente a questa attività, la risposta non può che essere negativa.

L’abbondante letteratura in argomento prodotta dalle scienze storiche e sociali nell’ultimo secolo consente di smentire sia che la prostituzione sia sempre stato un mestiere o professione sia che esista da sempre. Innanzitutto, la prostituzione ha assunto nel tempo varie forme, non sempre accomunabili sotto la stessa etichetta. La prostituzione sacra, un tempo in voga presso le civiltà orientali e medio-orientali, era una pratica che aveva valenze religiose e morali per noi inconcepibili ed era socialmente approvata. Erodoto, nelle sue Storie, racconta che presso i babilonesi era costume che  le donne si recassero nel santuario di Afrodite una volta nella vita per unirsi a un estraneo. Il denaro così ottenuto non era adoperato per fini personali, ma lasciato presso il tempio. Sempre in Oriente, esistevano donne che esercitavano la prostituzione costantemente presso un tempio, al cui personale esse appartenevano. Queste donne abitavano in un quartiere isolato adiacente al tempio ed erano considerate spose della divinità. Svolgevano servizi di vario genere per la manutenzione del tempio e appartenevano a una casta, a cui però si poteva accedere solo tramite un rito particolare. Nell’antica Grecia erano note le etére, donne allevate sin dalla più tenera età alle arti più nobili e deputate ad accompagnare uomini facoltosi e di alto rango. Oggi sono considerate alla stregua di prostitute di alto bordo, ma il loro status era ben diverso tanto che definirle prostitute appare riduttivo. Già questi scarni esempi ci fanno capire quanto sia inappropriato accomunare sotto la medesima etichetta comportamenti tanto diversi tra loro. Ma altre differenze devono essere segnalate.

Oggi, è possibile esercitare la prostituzione in privato e condurre parallelamente una vita normale in pubblico, grazie ai rapporti anonimi concessi dagli ambienti urbani in cui viviamo. Nel Medioevo, le prostitute non potevano che essere donne pubbliche perché non esisteva differenza tra ruoli pubblici e ruoli privati. Le diversità, però, non sono solo di status. Presso popolazioni indigene come gli Amerindi o gli Aborigeni australiani, la prostituzione sembra essere stata piuttosto rara prima della comparsa di colonizzatori e commercianti e, con loro, di rappresentazioni della società totalmente diverse dalle loro. La concezione attuale della prostituzione presuppone idee di proprietà, transazione ed economia che non sono sempre state uguali nei secoli. Per quanto sia difficile concepirlo per noi persone del XXI secolo, l’economia di mercato è un’istituzione relativamente recente che consente livelli di mercificazione del corpo inauditi fino a pochissimi secoli fa.

Il concetto stesso di mestiere o professione appare inadeguato. Nella storia, non sempre le donne hanno fatto della prostituzione la loro occupazione principale. A volte, si tratta di comportamenti occasionali, sporadici o transitori; comportamenti le cui cause non sono necessariamente  di natura economica o strumentale. A volte, si tratta di attività stabili che coinvolgono l’intera identità degli individui coinvolti, ma che non possono essere assimilate alle tappe di una carriera professionale. Non sempre, poi, le prostitute hanno scelto di esercitare la propria attività liberamente. Ciò è noto anche a noi attraverso i fenomeni della tratta e della riduzione in schiavitù di donne provenienti dai paesi più poveri del mondo. Mettendo insieme varie considerazioni, è possibile affermare che la prostituzione, come la intendiamo noi moderni, ha bisogno di una serie di precondizioni per potersi manifestare, tra cui possiamo citare:

1) L’esistenza di un sistema economico che riconosce e favorisce lo scambio economico tra merci anche astratte (denaro).

2) L’esistenza di una società non perfettamente libera da un punto di vista sessuale, composta da individui non uguali in termini di potere e non dotati delle stesse qualità fisiche ed economiche. La prostituzione, in altre parole, è una sorta di cartina di tornasole delle diseguaglianze esistenti all’interno della società.

3) L’assenza o carenza di categorie di donne che assolvono una funzione analoga a quella della prostituta, ma a basso costo, ad esempio schiave, concubine, mantenute o mogli poligamiche.

4) L’esistenza di donne “non matrimoniabili”, che cioè la società relega in posizioni marginali o impure, a cui non è consentito l’ingresso a pieno diritto nella società (adultere, vedove, donne divorziate, donne non più vergini o violate ecc.).

Come si vede, se alcune di queste condizioni sono più o meno universali (la n. 2, ad esempio), altre presuppongono modelli di organizzazione sociale, di civiltà, di cultura e di religione profondamente diversi che danno origine a forme di prostituzione altrettanto diverse, nemmeno comparabili tra loro e che solo per una convenzione stantia continuiamo a chiamare “prostituzione”. Di sicuro, la prostituzione non è il mestiere più vecchio del mondo. Al tempo di Kipling, prima della pubblicazione di On the City Wall, negli Stati Uniti si diceva che fosse l’agricoltura il mestiere più vecchio del mondo. Un secolo più tardi, Ronald Reagan non azzardò opinioni sull’argomento, ma aggiunse con sicurezza che al secondo posto si trovava la politica.

Su questo e altri miti sul crimine, rimando ai miei due ultimi libri: Delitti e 101 falsi miti sulla criminalità.

Questa voce è stata pubblicata in criminologia. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.