Il nostro disperato bisogno di illusioni

volto-triste-di-parigiNel 1965, due giovani psichiatri, Lee Park e Lino Covi*, condussero un insolito esperimento. I due convocarono quindici pazienti che soffrivano di ansia e comunicarono loro che sarebbero stati trattati con pillole di zucchero perché il rimedio si era dimostrato efficace in altri casi. Dei quattordici pazienti che accettarono la proposta, tutti si presentarono al secondo appuntamento e tutti tranne uno dichiararono di aver assunto almeno i due terzi del numero concordato di pillole. Ecco che cosa accadde:

Con loro sorpresa, Park e Covi notarono che ogni paziente cui erano somministrate le pillole di zucchero avvertiva una riduzione dei propri disturbi psicologici. In media il livello di ansia dei partecipanti all’esperimento si ridusse del 43%. Quindi, la maggioranza dei pazienti si sentì meglio dopo una settimana di pillole di zucchero. Quando fu chiesto ai partecipanti i motivi per cui avrebbero dovuto sentirsi meglio, essendo state somministrate loro delle semplici pillole di zucchero, nove di essi attribuirono il merito alla pillola, di questi nove cinque sospettavano o credevano fermamente di aver ricevuto veri e propri farmaci e non pillole placebo. Dei restanti cinque, due attribuivano i propri miglioramenti alle cure dei medici più che alle pillole, e tre parlarono di miglioramenti autonomi, indipendenti da agenti esterni.

Particolarmente rilevante la testimonianza di uno dei pazienti, un uomo di 45 anni, il quale dichiarò: «Non era una pillola di zucchero; era un medicinale!».

Questo esperimento è incredibilmente istruttivo. Ci dice che a noi piace essere ingannati, che abbiamo bisogno di illusioni ma che, quando le illusioni ci sono rivelate in quanto tali, tendiamo a razionalizzarle sotto altre parvenze perché non sopportiamo di essere ingannati. Lo stesso principio trova applicazione in altri campi: religione, politica, rapporti sentimentali. Ad esempio, se pure il papa si affacciasse una domenica mattina dal suo balcone preferito e rivelasse a tutta la cristianità che, in base a studi inappuntabili, la loro religione è solo un errore macroscopico, pensate che i cristiani smetterebbero di essere tali? Più probabilmente reagirebbero accusando il papa di essere impazzito o mettendo in discussione gli studi inappuntabili o parlando di un complotto ai loro danni. Se la persona che amiamo e dalla quale ci siamo illusi di essere amati ci rivelasse che è stata tutta una menzogna, che non ci ha mai amati e che è stata con noi solo perché siamo ricchi, accetteremmo le sue dichiarazioni senza esitazioni? Troveremmo una spiegazione al suo agire (“Non è più innamorata!”; “Ha conosciuto un altro”) che salvaguarderebbe la nostra convinzione di essere stati amati fino a quel momento.

Rassegniamoci! Abbiamo disperatamente bisogno di illusioni. Guai a chi ce le tocca!

*L’esperimento è descritto in Richard Degrandpre, “Suicidi al prozac”, in AA.VV., 2008, Tutto quello che sai è falso, Nuovi Mondi Media, Modena,  p. 122.

Questa voce è stata pubblicata in profezia che si autoavvera. Contrassegna il permalink.

2 risposte a Il nostro disperato bisogno di illusioni

  1. Robo scrive:

    Io credo che tutti più o meno ci autoinganniamo. Più o meno scientemente. Ad esempio sulle nostre capacità, su ciò che crediamo di poter fare, un certo autoinganno é utile, serve ad essere fattivi, positivi, a superare i fallimenti. Un eccesso di realismo, una lucida percezione del dominio probabilistico negli eventi, puó essere castrante e portare all’immobilità o a una diminuizione di efficenza. Se passiamo poi alle “credenze” costitutive, penso dottore che le abbiamo tutti, anche noi (agnostic)atei. Tutti costruiamo interiormente una struttura delle interazioni che vuole riprodurre il mondo come lo vediamo. Una volta che questa operazione ha avuto inizio ed ha preso un abbrivio in una direzione é probabile che ulteriori imput siano adattati allo schema, piuttosto che metterlo in crisi. Non è mia intenzione relativizzare tutto; penso si possono fare valutazioni logiche e oggettive in campi relativamente ristretti, ma più il campo dell’analisi si allarga più le province di significato si moltiplicano e le conclusioni pure. Il metodo scientifico fatica a coprire i buchi inevitabili nei dati ed il differente peso dato agli stessi fa il resto. Le modellizzazioni divengono molto astratte (magari ancora valide) e meno condivise. Il mondo non é una provetta e noi significhiamo e siamo fondati dai significati che diamo alle cose, ai fatti, per questo é così difficile accettare un inganno, o cambiare idea politica. Penso all’economia, alla politica, alle scale di valori. Almeno così mi parrebbe.

    • Romolo Capuano scrive:

      Assolutamente d’accordo. Dobbiamo smettere di pensare che se non si crede in Dio non si crede in niente. Siamo macchine che producono credenze. Inevitabilmente. Senza credenze non potremmo semplicemente vivere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.