I “sigari psicologici” di Mark Twain

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La psicologia ci ha informato da tempo dell’importanza delle aspettative nella vita di ogni giorno. Sappiamo che avere determinate aspettative può rendere migliore o peggiore una pietanza, più o meno dolorosa una ferita, più o meno efficace l’azione di un farmaco, più o meno simpatica una persona. Ci sono importanti testimonianze letterarie dell’importanza delle aspettative. Una delle più curiose si trova in un racconto di Mark Twain, contenuto nella raccolta Il racconto del becchino e altre storie, pubblicata dagli Editori Riuniti. Eccola qui:

Durante un inverno, in questi anni, venni a sapere che i “cannoni” [un tipo di sigari] di cinquant’anni prima venivano di nuovo prodotti e messi sul mercato, e ne ero felice, perché li avevo fumati quando ero un ragazzino di nove o dieci anni e sapevo che dodici o quindici di quelli potevano bastare per far passare una giornata in modo piacevole e a basso costo. Me li feci spedire da Wheeling facendone scorta, a ventisette centesimi a cassa. Erano deliziosi. Ma il loro aspetto era marcatamente a loro sfavore; si trovavano inoltre in scatole che non erano affatto attraenti; scatole che ne contenevano cento ciascuna ed erano fatte di rozzo cartone blu; scatole che erano bizzarre, rovinate, sfondate, brutte, grossolane e volgari, e che sembravano come la nazione. Solo l’aspetto della scatola stessa avrebbe fatto venire la nausea a tutti tranne che a me; con l’aggiunta dell’aspetto cencioso del suo contenuto modesto, il risultato era veramente spaventoso.

Non potevo azzardarmi a offrire questa roba ai miei amici, senza mascherarla, perché non avevo alcuna voglia di essere fucilato; pertanto avvolsi delle etichette eleganti intorno a molti di essi e li misi in una raffinata scatola di mogano con un doppio fondo traforato che conteneva una spugna umida; e diedi loro un lungo nome spagnolo che nessuno sapeva scrivere eccetto me e che nessuna persona ignorante poteva pronunciare; e dissi che quei sigari erano un regalo fattomi dal Capitano generale di Cuba, e che non erano in vendita a nessun prezzo. Questi semplici trucchetti ebbero successo. I miei amici contemplavano i cannoni con la più profonda riverenza e li fumavano per tutta la sera in estasi per la felicità, per andarsene poi riconoscenti e con gli animi pregni di una gioia solenne.

Non portai più avanti l’esperimento, lo interruppi lì. Un anno dopo gli stessi uomini erano a casa mia per discutere di un qualche argomento –  perché era un circolo sociale, i cui membri durante l’inverno ogni due settimane si incontravano a rotazione a casa di qualcuno e discutevano sulle questioni del giorno, concludendo con una cena a tarda ora e molto fumo. Quella volta, nel bel mezzo della cena, il cameriere di colore venne da me, pallido come un lenzuolo, e mi sussurrò che si era dimenticato di provvedere ai sigari appropriati, e che in casa non ve n’erano altri di riserva se non i volgari cannoni nelle scatole di cartone blu –  cosa doveva fare? Gli dissi di farli girare e di non dire niente – non potevamo fare nulla, a quell’ora tarda. Li fece girare.

D’abitudine quelle persone fumavano e parlavano per un’ora e mezza. Ma quella volta non lo fecero. Guardarono sospettosi la malconcia scatola blu, a turno presero esitando un cannone e lo accesero. Poi un silenzio inquietante scese sulla compagnia; la conversazione mori. Poi, dopo cinque minuti, uno si scusò e se ne andò – aveva un impegno, disse. Dopo un paio di minuti, un altro uscì. Nel giro di dieci minuti se ne erano andati tutti e dodici e io ero rimasto solo; e non erano ancora le undici.

La mattina dopo a colazione l’uomo di colore mi chiese quanto distava la porta principale dal cancello. Dissi che erano centoventicinque piedi. Allora disse, sconvolto, «Be’, signore, si può percorrere tutta la strada calpestando a ogni passo un cannone».

Che mostra della natura umana che è stata! Quelli erano gli stessi sigari che un anno prima avevano mandato quelle stesse persone in paradiso. Avevano fumato per tutta la loro vita, eppure non capivano niente di sigari. L’unico mezzo che avevano per distinguere un sigaro buono da uno scadente era guardare l’etichetta e la scatola; e la grande maggioranza degli uomini è proprio come loro (pp. 41-43).

Possiamo ridere a volontà di questa storia. Ma, in realtà, non ci comportiamo tutti così? Pensate all’effetto che fa su molte persone oggi una scatola di biscotti con su scritto: “Non contiene olio di palma”!

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