Gli errori che facciamo quando parliamo di crimini

Le persone amano parlare di crimini e di criminalità. Spesso credono di sapere tutto sull’argomento perché la loro dieta televisiva quotidiana prevede molte ore di film, serie televisive e programmi di intrattenimento basati sul crimine, con tanto di esperti a fornire informazione sugli aspetti più sensazionalistici in materia. In realtà, le persone spesso condividono e rilanciano nelle conversazioni di ogni giorno una serie di modi errati di pensare al crimine. Si tratta di fallacie che da tempo filosofi e logici rilevano quando esaminano i modi di ragionare della gente nella vita quotidiana e che possono essere riscontrate anche in ambito criminologico. In effetti, la “mente criminologica” è afflitta da parecchi modi sbagliati di pensare. Vediamone alcuni, attingendo a due testi di riferimento: il primo è il bel libro di Adelino Cattani, 50 discorsi ingannevoli, Edizioni GB, Padova (da cui traggo una parte delle definizioni e degli esempi riportati di seguito); il secondo è il mio libro Dizionario della incredulità e degli inganni della mente, pubblicato nel 2007 (dal quale traggo altre definizioni ed esempi).

Argumentum ad crumenam: fallacia consistente nel ritenere che il denaro sia un criterio di corretta valutazione di argomenti e comportamenti altrui.

Esempio: “Sono ricco di famiglia e non ho bisogno di rubare”. Argomento ingannevole perché anche i ricchi rubano.

Argumentum ad lazarum: è il contrario del precedente. Si basa sulla fallacia secondo cui la povertà è associata automaticamente a virtù, onestà e candore.

Esempio: “Vengo da una famiglia povera e onesta che mi ha insegnato che rubare è sbagliato” (il che non vuol dire che tu non possa rubare).

Argumentum ad metum: pone a fondamento di un ragionamento la paura che suscita la conseguenza di un evento o provvedimento. Nelle campagne contro il fumo o la droga, ad esempio, è facile rinvenire slogan terrorizzanti, basati sull’emotività e la minaccia della perdita di cose importanti (amicizia, amore, salute, vita ecc.).

Esempio: “Ti opponi alla pena di morte, ma cambierai idea il giorno in cui tu o i tuoi figli sarete vittima di un criminale al quale hai risparmiato la sedia elettrica”.

Argumentum ad misericordiam: fallacia consistente nell’accogliere una determinata tesi in ragione della pietà ispirata dal sostenitore della tesi.

Esempio: “Che cosa ne sarà di questo omicida se lo rinchiuderete in cella per tutta la vita? Siate misericordiosi!” (di questo passo, nessuno andrebbe più in galera).

Brutta china (slippery slope): fallacia consistente nell’affermare che se un evento accade, accadranno altri eventi dannosi a catena, anche se non vi sono prove che gli eventi dannosi siano causati dal primo evento.

Esempio: “Se legalizziamo la marijuana, la gente comincerà a prendere crack ed eroina e dovremo legalizzare anche questi. In poco tempo ci ritroveremo in una nazione di drogati. Ecco perché non possiamo legalizzare la marijuana”.  Modi di ragionare come questo sono alla base della cosiddetta teoria del passaggio, secondo cui chi inizia con la cannabis finisce con l’eroina.

Domanda complessa: tecnica d’interrogatorio consistente nel porre una domanda che implica la sussistenza di un fatto o di una verità presupposta. L’interrogato, comunque risponda, ammette il presupposto non esplicitato.

Esempio classico: “Hai smesso di picchiare tua moglie?”: Altro esempio: “Ha fatto buon uso delle bustarelle che ha preso?”. Le domande danno per scontato che l’interrogato picchi la moglie e abbia preso le bustarelle. Le domande complesse possono completamente stravolgere o determinare in modo sbagliato  l’esito di un interrogatorio.

Due neri non fanno un bianco: giustificare una propria debolezza o errore con una debolezza o errore della parte avversa.

Esempio: “Chi dà la morte merita la pena di morte”. “Se loro stuprano le nostre donne, anche noi stupreremo le loro donne”. Argomento molto adoperato nei confronti di immigrati provenienti dall’Africa o dall’Asia.

Generalizzazione indebita: fallacia consistente nell’attribuire a un’intera popolazione le caratteristiche di un suo campione  troppo piccolo o di un suo solo membro.

Esempio: “Un napoletano/immigrato mi ha rubato il portafogli: tutti i napoletani/gli immigrati sono ladri”. Questa fallacia può generare pregiudizi e stereotipi molto vischiosi, i quali, a loro volta, possono dar vita a comportamenti discriminatori.

Fallacia genetica: fallacia consistente nel giudicare un’idea dalle sue origini piuttosto che dalla sua validità.

Esempio: “Il testimone è un povero barbone/un ladruncolo/un drogato. Come puoi prestargli fede?”. Ma forse il povero barbone/ladruncolo/drogato è un testimone attendibile.

Inversione dell’onere della prova: pretendere che siano addotte prove della tesi contraria anziché portare argomenti a sostegno della tesi proposta.

Esempio: “Non ha un alibi. È sicuramente colpevole”. Frase che si sente spesso nei telefilm dedicati a fatti criminali.

Mezza verità: fallacia per soppressione di dati rilevanti.

Esempio: “Un’altra morte nella famigerata area criminale/nella Terra dei Fuochi. Non ce la facciamo più”. Ma la morte può essere dovuta a un incidente stradale o a un infarto.

Post hoc ergo propter hoc: fallacia consistente nel ritenere che due eventi siano causalmente correlati perché uno accade dopo l’altro.

Esempio: “Da quando ci sono gli immigrati qui, il crimine è in aumento”. Ma ciò potrebbe essere dovuto al fatto che gli immigrati sono maggiormente vittimizzati dei locali e non l’inverso.

Sarebbe interessante condurre una vera e propria indagine sulle fallacie della mente criminologica, cioè su come le persone pensano e vivono la realtà del crimine nella vita di ogni giorno. Nel frattempo rimando al mio ultimo libro, Delitti, dove discuto alcuni di questi errori.

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